La questione della trasparenza si è recentemente imposta con prepotenza nel dibattito del Partito Pirata, con la scelta di rendere visibili a tutti (e non solo agli iscritti) i processi legislativi del partito attraverso la pubblicazione, in sola lettura, della piattaforma deliberativa Agorà, oggi basata sul software liquid feedback.
Il dibattito è proseguito in maniera piuttosto muscolare sull’opportunità di aprire al pubblico anche tutto il pregresso storico, sollevando l’opposizione di chi voleva da una parte mantenere il principio di riservatezza garantito ai “vecchi pirati” e dall’altra da parte di chi riteneva troppo dispendioso apportare omissis puntuali che salvassero la riservatezza.
La sensazione, tuttavia, è che in questa discussione si sia smarrito il vero valore aggiunto della trasparenza.
Perché trasparenza?
Tutti gli uomini per natura tendono al sapere
Aristotele
La necessità della trasparenza è stata ricondotta dai fautori della mozione a un principio fondante del Partito Pirata, oltre che uno dei temi guida dell’attuale movimento Radicale: il diritto alla conoscenza.
Il diritto alla conoscenza però non significa necessariamente diritto a qualsiasi conoscenza, dal momento che l’idea del mondo come giacimento di informazioni sempre libere e disponibili, può avere implicazioni serie e preoccupanti.
Proprio da queste implicazioni si è sviluppato un principio complementare a quello della conoscenza, un principio che è stato alla base della stessa fondazione e dello stesso consolidamento del movimento Pirata: il diritto alla privacy. Il “datagate” denunciato da Edward Snowden, cos’è stato infatti se non lo scandalo relativo alla costruzione di una immensa conoscenza diffusa e intrusiva, subita passivamente dai cittadini? I “vecchi pirati” di Agorà, naturalmente, sembrano oggi incredibilmente sovrapponibili a quei cittadini che si sono sentiti intimamente osservati dai sistemi di sorveglianza: perché mai a qualcuno è venuto in mente di non riservare loro quel rispetto della privacy per cui i Pirati si battono pubblicamente e da sempre in sede internazionale?
Se perciò si vuole ricondurre la questione della trasparenza al cosiddetto “diritto alla conoscenza“, bisogna guardare alla conoscenza, non per un vuoto principio ideologico ma per quello che è il suo principale valore, il valore moltiplicativo e creativo che la conoscenza possiede: quello che consente di generare nuova conoscenza e, possibilmente, nuova e altra conoscenza.
Ma come si riconduce la trasparenza alla conoscenza intesa in questo senso? Per farlo è necessario definire la trasparenza in termini qualitativi più che quantitativi.
Trasparenza quantitativa e qualitativa
Troppo spesso, si intende la trasparenza come l’esposizione al pubblico della maggiore quantità di informazioni: è quello che succede spesso nelle nostra Pubblica Amministrazione: albi pretori ricchissimi di informazioni che, proprio a causa del loro numero, risultano di difficile consultazione; numerosissimi video delle sedute in streaming senza la pubblicazione di alcuna verbalizzazione che ne consenta una facile indicizzazione o ricerca; pubblicazione dei patrimoni dei dirigenti ma senza alcuna visibilità sulle attività di lobbing svolte presso l’amministrazione.
La trasparenza dovrebbe invece garantire l’efficacia e la chiarezza delle informazioni.
Attraverso la pubblicità dell’informazione, infatti si può solo ottenere la grezza conoscibilità; diversamente, la trasparenza non dovrebbe essere solo conoscibile ma soprattutto comprensibile.
Tornando all’esempio precedente, una pubblicazione indiscriminata di informazioni, porta solo a rumore ottico: non a caso, la fisica della luce distingue la trasparenza dalla translucenza: è quest’ultima l’interessante effetto che il disordine ottico provoca sulla capacità di “vedere attraverso”. In alcuni casi può anche risultare molto eccitante…
A che serve la trasparenza?
Stabilito quindi che la trasparenza serve quando aiuta a comprendere e non quando si limita a far conoscere, bisogna definire quale contributo di carattere qualitativo può dare la trasparenza al Partito Pirata Italiano: in particolare può la trasparenza, come valore irrinunciabile del Partito e intesa come trasparenza del Partito, servire alla causa Pirata?
Certamente sì. Ma non nel senso che si è voluto dare finora.
Come è evidente dalla letteratura attuale e dagli stessi orientamenti europei, la trasparenza (in particolare quella degli organi dello Stato) non è più soltanto un principio motivato dal controllo effettuato a posteriori dalla cittadinanza verso le istituzioni (o più spesso sulla corretta allocazione delle risorse economiche); oggi la trasparenza viene promossa come requisito fondamentale per consentire la “partecipazione” dei cittadini al processo decisionale. Infatti, se i cittadini non riescono a conoscere i dettagli delle attività amministrative in corso come potranno prendervi parte?
Perciò, senza partecipazione, la trasparenza è solo un peep-show o peggio un buco della serratura dal quale qualcuno che non fa sesso spia qualcuno che lo fa.
In questo senso si avverte la scarsa utilità di una misura mirata ad aprire indiscrimintamente il pregresso dell’Agorà Pirata: un coacervo di mozioni, emendamenti, commenti, spesso decontestualizzati dal periodo storico cui si riferiscono, che contributo potrebbe mai dare dare alla capacità partecipativa di chi abbia la volontà di leggerselo?
Ma come può allora la trasparenza dell’Agorà corrente offrire uno strumento di partecipazione al pubblico dei non iscritti al partito? E come può essere uno strumento utile al partito?
Il pubblico dei non iscritti non ha potere decisionale ma, come dimostrato in passato, ha il desiderio di incidere sulle scelte del partito anche attraverso il dialogo: attraverso i social network sono addirittura i follower dei partiti più rappresentativi a volersi far sentire pur non essendo iscritti.
Allora, tanto più è facile comprendere come il follower, il simpatizzante, il curioso o il disperato cui ripugna la politica, possa credere di essere ascoltato ancora di più da un partito piccolo e tutto sommato “simpatico” come il Partito Pirata!
Il follower, pertanto, non dovrà solo “conoscere” i provvedimenti e le discussioni di quello che succede in Agorà, ma dovrebbe (attraverso quelle discussioni) “comprendere” il modo e il motivo per cui i Pirati le discutono e le votano. E deve essere su questo che i Pirati dovranno ricercare il loro punto qualificante: non solo cosa si vota, ma come e perché.
In questo, il punto davvero qualificante sarà applicare i moderni e ben sperimentati principi dell’analisi di impatto della regolazione: deliberare prefigurando gli impatti dei regolamenti che si producono, valutandone puntualmente gli effetti e assumendosene la responsabilità dei risultati.
Questo sarebbe il modo migliore per segnare la discontinuità, non solo da tutta l’attuale politica italiana, tutta protesa nel deliberare per emozionare invece che nel deliberare per funzionare ma anche dal “vecchio corso del Partito Pirata”: quello per esempio che stabiliva di creare un nuovo forum e non lo fa; o quello che produceva Statuti e Regolamenti che avevano immediato bisogno di puntualizzazioni interpretative; insomma, quello che delibera e che poi si rende conto che la delibera è inapplicabile.
Trasparenza. Non invisibilità!
La trasparenza perciò serve a rendere visibile il partito e a renderne visibili le forme e i contenuti, ma ogni battaglia per la trasparenza che non sia finalizzata a questo è una battaglia dispendiosa, conflittuale, autoreferenziale che produce macerie dentro al partito e non porta niente di positivo fuori.
Là fuori c’è uno spazio immenso in cui l’assenza del Partito Pirata viene avvertita con disagio da tutti i suoi simpatizzanti e, purtroppo, anche da qualche iscritto.
I social e i canali di comunicazione del partito sembrano morti. Fermi da troppo tempo: anche durante il congresso. Che cosa si aspetta a riattivarli?
Forse oggi il Partito Pirata ha perso così tanto tempo ed energie su un malinteso concetto di trasparenza per una comprensibile ma non giustificabile motivazione ideologica.
E mentre si cercava di far diventare sempre più trasparente il Partito Pirata, lo si rendeva sempre più invisibile!
La questione della trasparenza si è recentemente imposta con prepotenza nel dibattito del Partito Pirata, con la scelta di rendere visibili a tutti (e non solo agli iscritti) i processi legislativi del partito attraverso la pubblicazione, in sola lettura, della piattaforma deliberativa Agorà, oggi basata sul software liquid feedback.
Il dibattito è proseguito in maniera piuttosto muscolare sull’opportunità di aprire al pubblico anche tutto il pregresso storico, sollevando l’opposizione di chi voleva da una parte mantenere il principio di riservatezza garantito ai “vecchi pirati” e dall’altra da parte di chi riteneva troppo dispendioso apportare omissis puntuali che salvassero la riservatezza.
La sensazione, tuttavia, è che in questa discussione si sia smarrito il vero valore aggiunto della trasparenza.
Perché trasparenza?
La necessità della trasparenza è stata ricondotta dai fautori della mozione a un principio fondante del Partito Pirata, oltre che uno dei temi guida dell’attuale movimento Radicale: il diritto alla conoscenza.
Il diritto alla conoscenza però non significa necessariamente diritto a qualsiasi conoscenza, dal momento che l’idea del mondo come giacimento di informazioni sempre libere e disponibili, può avere implicazioni serie e preoccupanti.
Proprio da queste implicazioni si è sviluppato un principio complementare a quello della conoscenza, un principio che è stato alla base della stessa fondazione e dello stesso consolidamento del movimento Pirata: il diritto alla privacy.
Il “datagate” denunciato da Edward Snowden, cos’è stato infatti se non lo scandalo relativo alla costruzione di una immensa conoscenza diffusa e intrusiva, subita passivamente dai cittadini? I “vecchi pirati” di Agorà, naturalmente, sembrano oggi incredibilmente sovrapponibili a quei cittadini che si sono sentiti intimamente osservati dai sistemi di sorveglianza: perché mai a qualcuno è venuto in mente di non riservare loro quel rispetto della privacy per cui i Pirati si battono pubblicamente e da sempre in sede internazionale?
Se perciò si vuole ricondurre la questione della trasparenza al cosiddetto “diritto alla conoscenza“, bisogna guardare alla conoscenza, non per un vuoto principio ideologico ma per quello che è il suo principale valore, il valore moltiplicativo e creativo che la conoscenza possiede: quello che consente di generare nuova conoscenza e, possibilmente, nuova e altra conoscenza.
Ma come si riconduce la trasparenza alla conoscenza intesa in questo senso? Per farlo è necessario definire la trasparenza in termini qualitativi più che quantitativi.
Trasparenza quantitativa e qualitativa
Troppo spesso, si intende la trasparenza come l’esposizione al pubblico della maggiore quantità di informazioni: è quello che succede spesso nelle nostra Pubblica Amministrazione: albi pretori ricchissimi di informazioni che, proprio a causa del loro numero, risultano di difficile consultazione; numerosissimi video delle sedute in streaming senza la pubblicazione di alcuna verbalizzazione che ne consenta una facile indicizzazione o ricerca; pubblicazione dei patrimoni dei dirigenti ma senza alcuna visibilità sulle attività di lobbing svolte presso l’amministrazione.
La trasparenza dovrebbe invece garantire l’efficacia e la chiarezza delle informazioni.
Attraverso la pubblicità dell’informazione, infatti si può solo ottenere la grezza conoscibilità; diversamente, la trasparenza non dovrebbe essere solo conoscibile ma soprattutto comprensibile.
Tornando all’esempio precedente, una pubblicazione indiscriminata di informazioni, porta solo a rumore ottico: non a caso, la fisica della luce distingue la trasparenza dalla translucenza: è quest’ultima l’interessante effetto che il disordine ottico provoca sulla capacità di “vedere attraverso”. In alcuni casi può anche risultare molto eccitante…
A che serve la trasparenza?
Stabilito quindi che la trasparenza serve quando aiuta a comprendere e non quando si limita a far conoscere, bisogna definire quale contributo di carattere qualitativo può dare la trasparenza al Partito Pirata Italiano: in particolare può la trasparenza, come valore irrinunciabile del Partito e intesa come trasparenza del Partito, servire alla causa Pirata?
Certamente sì. Ma non nel senso che si è voluto dare finora.
Come è evidente dalla letteratura attuale e dagli stessi orientamenti europei, la trasparenza (in particolare quella degli organi dello Stato) non è più soltanto un principio motivato dal controllo effettuato a posteriori dalla cittadinanza verso le istituzioni (o più spesso sulla corretta allocazione delle risorse economiche); oggi la trasparenza viene promossa come requisito fondamentale per consentire la “partecipazione” dei cittadini al processo decisionale. Infatti, se i cittadini non riescono a conoscere i dettagli delle attività amministrative in corso come potranno prendervi parte?
Perciò, senza partecipazione, la trasparenza è solo un peep-show o peggio un buco della serratura dal quale qualcuno che non fa sesso spia qualcuno che lo fa.
In questo senso si avverte la scarsa utilità di una misura mirata ad aprire indiscrimintamente il pregresso dell’Agorà Pirata: un coacervo di mozioni, emendamenti, commenti, spesso decontestualizzati dal periodo storico cui si riferiscono, che contributo potrebbe mai dare dare alla capacità partecipativa di chi abbia la volontà di leggerselo?
Ma come può allora la trasparenza dell’Agorà corrente offrire uno strumento di partecipazione al pubblico dei non iscritti al partito? E come può essere uno strumento utile al partito?
AIR e VIR: deliberare per funzionare
Il pubblico dei non iscritti non ha potere decisionale ma, come dimostrato in passato, ha il desiderio di incidere sulle scelte del partito anche attraverso il dialogo: attraverso i social network sono addirittura i follower dei partiti più rappresentativi a volersi far sentire pur non essendo iscritti.
Allora, tanto più è facile comprendere come il follower, il simpatizzante, il curioso o il disperato cui ripugna la politica, possa credere di essere ascoltato ancora di più da un partito piccolo e tutto sommato “simpatico” come il Partito Pirata!
Il follower, pertanto, non dovrà solo “conoscere” i provvedimenti e le discussioni di quello che succede in Agorà, ma dovrebbe (attraverso quelle discussioni) “comprendere” il modo e il motivo per cui i Pirati le discutono e le votano. E deve essere su questo che i Pirati dovranno ricercare il loro punto qualificante: non solo cosa si vota, ma come e perché.
In questo, il punto davvero qualificante sarà applicare i moderni e ben sperimentati principi dell’analisi di impatto della regolazione: deliberare prefigurando gli impatti dei regolamenti che si producono, valutandone puntualmente gli effetti e assumendosene la responsabilità dei risultati.
Questo sarebbe il modo migliore per segnare la discontinuità, non solo da tutta l’attuale politica italiana, tutta protesa nel deliberare per emozionare invece che nel deliberare per funzionare ma anche dal “vecchio corso del Partito Pirata”: quello per esempio che stabiliva di creare un nuovo forum e non lo fa; o quello che produceva Statuti e Regolamenti che avevano immediato bisogno di puntualizzazioni interpretative; insomma, quello che delibera e che poi si rende conto che la delibera è inapplicabile.
Trasparenza. Non invisibilità!
La trasparenza perciò serve a rendere visibile il partito e a renderne visibili le forme e i contenuti, ma ogni battaglia per la trasparenza che non sia finalizzata a questo è una battaglia dispendiosa, conflittuale, autoreferenziale che produce macerie dentro al partito e non porta niente di positivo fuori.
Là fuori c’è uno spazio immenso in cui l’assenza del Partito Pirata viene avvertita con disagio da tutti i suoi simpatizzanti e, purtroppo, anche da qualche iscritto.
I social e i canali di comunicazione del partito sembrano morti. Fermi da troppo tempo: anche durante il congresso. Che cosa si aspetta a riattivarli?
Forse oggi il Partito Pirata ha perso così tanto tempo ed energie su un malinteso concetto di trasparenza per una comprensibile ma non giustificabile motivazione ideologica.
E mentre si cercava di far diventare sempre più trasparente il Partito Pirata, lo si rendeva sempre più invisibile!