I giudici federali sentenziano che la Georgia debba abbandonare il voto elettronico dopo gli errori gestionali del governatore Kemp.
La Georgia è il più importante stato nel sud degli USA: quando nel settembre 1864 il generale dei federali, William Tecumseh Sherman, fece il suo ingresso in Atlanta, la capitale, si capì che la guerra di secessione sarebbe ben presto finita in tutto il sud.
Da allora la Georgia è stata il campo da gioco della capacità degli Stati Uniti di superare i propri limiti nell’ambito dell’integrazione razziale per la minoranza afro-americana. Un problema ancora vivo oggi e che ha particolare importanza sul terreno elettorale.
Nella storia degli Stati Uniti, nel 2018, la democratica Stacey Abrams è la prima donna afroamericana a vincere, proprio in Georgia, una nomination per la carica di governatore.
Perderà le elezioni contro il suo rivale, il repubblicano Brian Kemp, sostenuto dal presidente Trump, con soli 50.000 voti di scarto.
Brian Kemp, al momento delle elezioni, rifiutò di dimettersi da Segretario di Stato in Georgia, ovvero la persona delegata a governare il sistema elettorale. Sulla base di alcune inoppugnabili evidenze la Stacey accusò Kemp di aver compromesso l’equità delle elezioni, in particolare in relazione alle iscrizioni e cancellazione dalle liste elettorali.
Ancor più equivoco della manipolazione delle liste elettorali era stato il rifiuto di Kemp di accettare l’aiuto economico del governo federale per rinnovare il sistema elettorale, basato su computer di voto, a seguito delle evidenze sugli attacchi degli hacker russi per le elezioni presidenziali del 2016.
La Georgia infatti è uno dei 14 stati americani ad affidarsi completamente ai computer nel processo elettorale (sistemi DRE), ma è il più importante dei tre nei quali ancora si vota senza che venga prodotta alcuna forma di prova cartacea (papertrail), anche se la Pennsylvania ha già deciso di dismettere il voto DRE.
Nel 2017 venne scoperta una falla nel sistema di votazione dello stato che oltre, di nuovo, esporre i dati personali dei votanti aveva permesso l’accesso libero e indiscriminato ai sistemi dei funzionari elettorali con la divulgazione delle password e, quel che è peggio, la falla, pur riportata ufficialmente, non era stata sanata per oltre 6 mesi.
Quindi una nuova causa intentata dai cittadini chiese ed ottenne accesso ai dati operativi per verificare l’entità del problema, mai esposta con chiarezza da Kemp. Al momento di dover dare applicazione all’ingiunzione dei giudici, venne dichiarato che ogni dato utile era stato cancellato dai server e non erano mai stati fatti backup.
Negli Stati Uniti il dibattito sull’uso, e sulle possibili manipolazioni, dei sistemi elettorali basati sui computer è molto vivo. L’adozione massiva dei computer nei processi elettorali era stata la risposta alla debacle nel conteggio per le elezioni del 2000 quando le elezioni presidenziali furono determinate da uno scarto di 537 voti in Florida e portarono all’elezione di Bush contro Al Gore che pure aveva ottenuto oltre mezzo milione di voti in più a livello nazionale. Nei riconteggi seguiti a quella elezione vennero fuori le notevolissime magagne dei differenti sistemi elettorali degli stati americani.
Con la legge chiamata HAVA (Help America Vote Act), il parlamento stanziò una ingente somma per uniformare gli standard operativi dei sistemi elettorali, che in USA sono materia esclusiva dei singoli stati, che permise un ampio rinnovamento. Gli stati che in precedenza usavano apparecchiature meccaniche o elettromeccaniche ebbero modo quindi di passare, finanziati dalla federazione, ai sistemi basati su computer.
Da allora i sistemi di votazione basati su computer in USA sono stati esposti ad ogni tipo di critica, i fornitori hanno fatto ogni tipo di errore, e gli ufficiali di stato si sono stati trovati in grave imbarazzo di fronte all’opinione pubblica per aver difeso situazioni indifendibili.
Come se non bastasse questo, il mondo dell’accademia, dopo aver provato a sostenere (grazie agli ingenti finanziamenti provenienti dai fornitori) la possibilità del voto elettronico, è oggi praticamente unanimamente schierata, tranne pochissimi ma notabili eccezioni, sulla posizione del fisico, crittografo ed esperto di sicurezza Bruce Schneider: «se volete rendere sicure le elezioni, tornate alla carta».
La Georgia, ed in verità un po’ l’assoluta scompostezza della gestione Kemp sia da Segretario di Stato che successivamente da Governatore, sta fornendo agli abolizionisti ogni sorta di argomento contro il voto elettronico e ciò ha sviluppato anche una più ampia consapevolezza sui problemi, non solo tecnici ma anche giuridici.
La corte nazionale fino al 2018, pur riconoscendo i difetti del sistema elettorale basato sui computer («La posizione dello stato in questo contenzioso – e alcune delle testimonianze e delle prove presentate – indicavano che gli imputati e i funzionari delle elezioni statali avevano seppellito la testa nella sabbia», sentenza del giudice Amy Totenberg 2018), aveva sostenuto le tesi del governatore, ovvero che la migrazione avrebbe potuto «mettere a repentaglio le prossime elezioni, l’affluenza alle urne e l’amministrazione ordinata delle elezioni» (ibidem).
Nel 2019 invece, sollevata la questione presso il giudice federale, la recente sentenza (settembre 2019) è stata inequivocabile: il sistema elettronico della Georgia deve essere eliminato senza appello e le elezioni dovranno essere condotte “su carta”.
I federali hanno conquistato nuovamente Atlanta, e la speranza è che adesso cada l’ultimo stato che ancora impedisce ai cittadini di esprimere su carta, o almeno verificarlo, il proprio voto: il Texas.
Gli abolizionisti americani del voto elettronico si sono attestati su una strategia in due tempi: 1) imporre che il voto fatto con le macchina sia verificabile con la carta, quindi eliminare i sistemi DRE per passare a sistemi che emettano ricevuta cartacea e conservino le schede di voto in forma cartacea per un successivo eventuale riconteggio, tutto questo sulla base di argomentazioni tecnologiche ed evidenze sulle bad practice dei sistemi elettorali basati su computer e 2) sostenere che un voto elettronico fatto in questo modo, costi di gran lunga di più che le vecchie procedure totalmente manuali senza supporto di tecnologia senza aggiungere effettivamente alcun valore al processo democratico. È una strategia perfettamente in linea con la mentalità pratica del cittadino americano, probabilmente destinata a vincere in un tempo anche relativamente breve.
Le corti invece, interpellate in merito, questa della Georgia e quella costituzionale tedesca nella nota sentenza del 2009, hanno posto l’accento invece sul vero tema democratico alla base di questo problema che non è di natura tecnologica o economica, ma legato alla vera natura della democrazia, della repubblica e dello stato di diritto: la procedura elettorale non può basarsi, in nessuno dei suoi passaggi sulla non-ispezionabilità e non-verificabilità ad occhio nudo e senza conoscenza specialistica. La delega del potere che avviene dal cittadino al rappresentante non può essere ritenuta valida se il cittadino, con tutte le sue limitazioni, non viene posto nella condizione di avere il diritto di conoscere la validità di questa delega.
Un argomento non tecnico, ma sostanzialmente giuridico, e quindi politico, che faremo bene a tenere in considerazione quando il voto elettronico verrà proposto in Italia, sulla base delle solite semplificazioni tecnocratiche. Semplificazioni cyber-utopiche che, dopo averle subite per anni, le democrazie avanzate stanno, l’una dopo l’altra, rifiutando decisamente.
I giudici federali sentenziano che la Georgia debba abbandonare il voto elettronico dopo gli errori gestionali del governatore Kemp.
La Georgia è il più importante stato nel sud degli USA: quando nel settembre 1864 il generale dei federali, William Tecumseh Sherman, fece il suo ingresso in Atlanta, la capitale, si capì che la guerra di secessione sarebbe ben presto finita in tutto il sud.
Da allora la Georgia è stata il campo da gioco della capacità degli Stati Uniti di superare i propri limiti nell’ambito dell’integrazione razziale per la minoranza afro-americana. Un problema ancora vivo oggi e che ha particolare importanza sul terreno elettorale.
Nella storia degli Stati Uniti, nel 2018, la democratica Stacey Abrams è la prima donna afroamericana a vincere, proprio in Georgia, una nomination per la carica di governatore.
Perderà le elezioni contro il suo rivale, il repubblicano Brian Kemp, sostenuto dal presidente Trump, con soli 50.000 voti di scarto.
Brian Kemp, al momento delle elezioni, rifiutò di dimettersi da Segretario di Stato in Georgia, ovvero la persona delegata a governare il sistema elettorale. Sulla base di alcune inoppugnabili evidenze la Stacey accusò Kemp di aver compromesso l’equità delle elezioni, in particolare in relazione alle iscrizioni e cancellazione dalle liste elettorali.
Ancor più equivoco della manipolazione delle liste elettorali era stato il rifiuto di Kemp di accettare l’aiuto economico del governo federale per rinnovare il sistema elettorale, basato su computer di voto, a seguito delle evidenze sugli attacchi degli hacker russi per le elezioni presidenziali del 2016.
La Georgia infatti è uno dei 14 stati americani ad affidarsi completamente ai computer nel processo elettorale (sistemi DRE), ma è il più importante dei tre nei quali ancora si vota senza che venga prodotta alcuna forma di prova cartacea (papertrail), anche se la Pennsylvania ha già deciso di dismettere il voto DRE.
La gestione dell’ufficio elettorale da parte di Kemp era stata anche in precedenza, già nel 2015, molto criticata, fino a doverne rispondere con una class-action, a causa di un data-breach che aveva esposto il database dei votanti compresivo di dati personali.
Nel 2017 venne scoperta una falla nel sistema di votazione dello stato che oltre, di nuovo, esporre i dati personali dei votanti aveva permesso l’accesso libero e indiscriminato ai sistemi dei funzionari elettorali con la divulgazione delle password e, quel che è peggio, la falla, pur riportata ufficialmente, non era stata sanata per oltre 6 mesi.
Quindi una nuova causa intentata dai cittadini chiese ed ottenne accesso ai dati operativi per verificare l’entità del problema, mai esposta con chiarezza da Kemp. Al momento di dover dare applicazione all’ingiunzione dei giudici, venne dichiarato che ogni dato utile era stato cancellato dai server e non erano mai stati fatti backup.
Negli Stati Uniti il dibattito sull’uso, e sulle possibili manipolazioni, dei sistemi elettorali basati sui computer è molto vivo. L’adozione massiva dei computer nei processi elettorali era stata la risposta alla debacle nel conteggio per le elezioni del 2000 quando le elezioni presidenziali furono determinate da uno scarto di 537 voti in Florida e portarono all’elezione di Bush contro Al Gore che pure aveva ottenuto oltre mezzo milione di voti in più a livello nazionale. Nei riconteggi seguiti a quella elezione vennero fuori le notevolissime magagne dei differenti sistemi elettorali degli stati americani.
Con la legge chiamata HAVA (Help America Vote Act), il parlamento stanziò una ingente somma per uniformare gli standard operativi dei sistemi elettorali, che in USA sono materia esclusiva dei singoli stati, che permise un ampio rinnovamento. Gli stati che in precedenza usavano apparecchiature meccaniche o elettromeccaniche ebbero modo quindi di passare, finanziati dalla federazione, ai sistemi basati su computer.
Da allora i sistemi di votazione basati su computer in USA sono stati esposti ad ogni tipo di critica, i fornitori hanno fatto ogni tipo di errore, e gli ufficiali di stato si sono stati trovati in grave imbarazzo di fronte all’opinione pubblica per aver difeso situazioni indifendibili.
Come se non bastasse questo, il mondo dell’accademia, dopo aver provato a sostenere (grazie agli ingenti finanziamenti provenienti dai fornitori) la possibilità del voto elettronico, è oggi praticamente unanimamente schierata, tranne pochissimi ma notabili eccezioni, sulla posizione del fisico, crittografo ed esperto di sicurezza Bruce Schneider: «se volete rendere sicure le elezioni, tornate alla carta».
La Georgia, ed in verità un po’ l’assoluta scompostezza della gestione Kemp sia da Segretario di Stato che successivamente da Governatore, sta fornendo agli abolizionisti ogni sorta di argomento contro il voto elettronico e ciò ha sviluppato anche una più ampia consapevolezza sui problemi, non solo tecnici ma anche giuridici.
La corte nazionale fino al 2018, pur riconoscendo i difetti del sistema elettorale basato sui computer («La posizione dello stato in questo contenzioso – e alcune delle testimonianze e delle prove presentate – indicavano che gli imputati e i funzionari delle elezioni statali avevano seppellito la testa nella sabbia», sentenza del giudice Amy Totenberg 2018), aveva sostenuto le tesi del governatore, ovvero che la migrazione avrebbe potuto «mettere a repentaglio le prossime elezioni, l’affluenza alle urne e l’amministrazione ordinata delle elezioni» (ibidem).
Nel 2019 invece, sollevata la questione presso il giudice federale, la recente sentenza (settembre 2019) è stata inequivocabile: il sistema elettronico della Georgia deve essere eliminato senza appello e le elezioni dovranno essere condotte “su carta”.
I federali hanno conquistato nuovamente Atlanta, e la speranza è che adesso cada l’ultimo stato che ancora impedisce ai cittadini di esprimere su carta, o almeno verificarlo, il proprio voto: il Texas.
La sentenza di settembre è particolarmente importante perché definisce un punto a cui il Comitato per i Requisiti del Voto in Democrazia crede profondamente.
Gli abolizionisti americani del voto elettronico si sono attestati su una strategia in due tempi: 1) imporre che il voto fatto con le macchina sia verificabile con la carta, quindi eliminare i sistemi DRE per passare a sistemi che emettano ricevuta cartacea e conservino le schede di voto in forma cartacea per un successivo eventuale riconteggio, tutto questo sulla base di argomentazioni tecnologiche ed evidenze sulle bad practice dei sistemi elettorali basati su computer e 2) sostenere che un voto elettronico fatto in questo modo, costi di gran lunga di più che le vecchie procedure totalmente manuali senza supporto di tecnologia senza aggiungere effettivamente alcun valore al processo democratico. È una strategia perfettamente in linea con la mentalità pratica del cittadino americano, probabilmente destinata a vincere in un tempo anche relativamente breve.
Le corti invece, interpellate in merito, questa della Georgia e quella costituzionale tedesca nella nota sentenza del 2009, hanno posto l’accento invece sul vero tema democratico alla base di questo problema che non è di natura tecnologica o economica, ma legato alla vera natura della democrazia, della repubblica e dello stato di diritto: la procedura elettorale non può basarsi, in nessuno dei suoi passaggi sulla non-ispezionabilità e non-verificabilità ad occhio nudo e senza conoscenza specialistica. La delega del potere che avviene dal cittadino al rappresentante non può essere ritenuta valida se il cittadino, con tutte le sue limitazioni, non viene posto nella condizione di avere il diritto di conoscere la validità di questa delega.
Un argomento non tecnico, ma sostanzialmente giuridico, e quindi politico, che faremo bene a tenere in considerazione quando il voto elettronico verrà proposto in Italia, sulla base delle solite semplificazioni tecnocratiche. Semplificazioni cyber-utopiche che, dopo averle subite per anni, le democrazie avanzate stanno, l’una dopo l’altra, rifiutando decisamente.
Riferimenti:
Three states responsible for half of all paperless e-voting machines in 2018, survey finds di Derek B. Johnson on Federal Computer Week (fcw.com) Jun 27, 2019
https://fcw.com/articles/2019/06/27/voting-machines-paper-trails-johnson.aspx