Questa non è una campagna di sensibilizzazione. Non ancora. Ma potrebbe diventarla.
Il punto centrale della questione è la partecipazione democratica dei cittadini nel quadro non solo italiano ma anche europeo. La democrazia vive in Europa una crisi di rappresentanza; ogni cittadino europeo partecipa infatti a diverse elezioni: quelle per il parlamento Europeo, quelle nazionali, quelle distrettuali (in Italia ormai solo per le regioni) e quelle municipali, senza dimenticare anche quelle relative alle consultazioni referendarie.
Tuttavia, quella che risulta apparentemente come un esercizio di rappresentanza sovradimensionato si scontra con alcuni limiti nella partecipazione; le elezioni vedono quasi generalmente una diminuzione dell’eletorato in tutti gli appuntamenti elettorali per cause molto diverse: il disgusto per la classe politica, la sensazione che le scelte elettorali non incidano realmente sulla direzione politica, il privilegio dell’Economia e della Finanza sulla politica e, infine, la scarsa istruzione dei cittadini riguardo ai meccanismi istituzionali che regolano la democrazia e la rappresentanza.
L’eccezionale rinnovamento in termini di rigenerazione dell’entusiasmo e della partecipazione attiva del nuovo movimento ambientalista, come testimoniano i casi di Fridays for Future, Extintion Rebellion e Ultima Generazione, ha dimostrato quanto una giovane donna (che -ricordiamo- per motivi di età non era neanche in grado di esercitare il proprio diritto di voto) possa essere in grado di scatenare il coinvolgimento e la partecipazione dell’opinione pubblica sui temi ambientali, come nessun “adulto” era mai riuscito a portare avanti con convinzione, neanche quando vestiva i panni dell’ex vicepresidente degli USA Al Gore (forse anche perché la sua crociata era inizialmente nata più per aiutare i contadini produttori di mais del suo Stato natale -il Tennessee- piuttosto che per garantire il futuro dell’umanità…).
Il coinvolgimento dei cittadini deve essere coltivato
Se la maggior parte degli elettori adulti è dunque disillusa, non possiamo credere che, continuando a fare le cose nello stesso modo, potremmo invertire la tendenza e ottenere risultati differenti.
Ogni iniziativa di educazione civica è infatti sterile: chi avrebbe mai interesse a guidare una macchina se non può ancora guidarla?
La realtà è che se i futuri elettori vengono tenuti al di fuori non solo dai processi elettorali, ma anche dalla discussione politica, essi continueranno probabilmente a disinteressarsene anche quando otterranno il diritto di esercitare il voto. E se se ne interesseranno, sconteranno un ritardo culturale che sarà sostanzialmente pari agli anni di attesa, quelli in cui essi sono stati tenuti fuori dai processi decisionali.
Una precisazione: perché siamo contrari ad abbassare a 16 anni l’età per votare?
La proposta avanzata, a suo tempo da Enrico Letta, per abbassare in Italia l’età per esercitare il diritto di voto non avrebbe alcun impatto rilevante e presenta anzi problematiche superiori rispetto a quelle provocate dall’attuale limite di età: si guadagnano solo due anni di ritardo ma non si colpiscono le ragioni profonde del disinteresse dei ragazzi verso la politica. Se il diritto di voto è un merito e una responsabilità, non si capisce infatti per quale motivo i sedicenni sarebbero più meritevoli e più responsabili dei quindicenni: per il fatto forse di avere concluso la scuola dell’obbligo? Anzi, in buona parte degli ordinamenti scolastici, l’insegnamento della storia e della geografia nei primi due/tre anni della scuola superiore è assolutamente paragonabile rispetto a quello di uno studente che abbia concluso la secondaria di primo grado, soprattutto ai fini della consapevolezza del mondo contemporaneo!
La nostra assurda (cit.) proposta
La nostra proposta è semplice: estendere il diritto di voto a ogni cittadino che, così come è in grado di entrare da solo in un edificio scolastico, sia in grado di entrare da solo in una cabina elettorale per tracciare una croce e scrivere un paio di nomi in stampatello!
Vediamo perché questa scelta sarebbe conveniente e, soprattutto, giusta.
Perché bambini e ragazzi meritano di votare?
Il diritto di voto, il diritto di rappresentanza, è sempre stato connesso alla capacità fiscale del contribuente: “Nessuna tassazione senza rappresentanza” nasce come slogan politico che ha avuto origine nella Rivoluzione americana e che ha espresso una delle principali lam entele dei coloni americani contro la Gran Bretagna, ma è anche uno dei fondamenti della partecipazione della cittadinanza “produttiva”, quella che mantiene l’apparato statale.
Il principio è oggi apparentemente superato, dal momento che il diritto di voto viene considerato un diritto civile inalienabile a prescindere dalla capacità contributiva del cittadino, eppure il principio è ancora valido, nel senso che in ottica solidaristica il contributo operoso del cittadino è fondamentale per il funzionamento delle istituzioni, in quanto attraverso la tassazione progressiva, consente a tutti le garanzie di libertà e partecipazione che spettano a tutti i cittadini. Spettano, per la precisione, a tutti i cittadini maggiorenni.
Se tuttavia consideriamo alcune evidenze dello status di bambini e ragazzi, dovremmo riconsiderare il principio “No taxation without representation” in un’ottica differente:
in primo luogo è evidente che è compito della società, e quindi dello Stato in quanto strumento oggi imprescindibile per l’organizzazione della società, crescere e istruire i ragazzi per consentire loro non solo di ottenere una piena cittadinanza, ma anche di contribuire al consolidamento economico e sociale della società: questa responsabilità non è affatto gratuita, dal momento che i ragazzi saranno i futuri contribuenti;
altrettanto evidente è il fatto che questa scommessa della società e dello Stato nei confronti dei ragazzi è una scommessa sullo Stato stesso: un favore non richiesto certamente dai ragazzi ma che acquisisce senso solo in quanto futuri cittadini;
terribilmente evidente è d’altra parte che, come la pressione atmosferica si misura in base a un’ideale colonna piena di un fluido, la pressione fiscale che grava sulla testa di ogni bambino costituisce una “colonna fiscale” tale da rendere oggi ancora più gravoso il futuro di ogni bambino;
i bambini e i ragazzi potrebbero quindi fare proprio il principio dei rivoluzionari d’America: “non accettiamo nessuna tassa futura, se non possiamo essere rappresentati!”
Sinite parvulos: perché conviene ai bambini e ai ragazzi?
Poter assumere la responsabilità di decidere nella stessa misura in cui possono decidere gli adulti è un incentivo a interessarsi delle istituzioni! Per quale motivo infatti un ragazzo dovrebbe interessarsi delle istituzioni se viene escluso dal perimetro decisionale?
Il peso di tale responsabilità costituirà uno stimolo a comprendere le istituzioni, le leggi, i meccanismi della rappresentanza e non solo: sarà anche uno stimolo a comprendere e a confrontarsi, ben prima dell’età adulta, con le sempre più subdole manipolazioni che la comunicazione politica (e non politica) esercita sulla società.
Sembra scontato, ma esercitando l’elettorato attivo fin da bambini, i ragazzi arriverebbero la maggiore età con maggiori possibilità di esercitare l’elettorato passivo.
Inoltre il fatto che alcuni amici e compagni più motivati facciano “cose da grandi” sarà uno stimolo anche per i coetanei meno sensibili alla democrazia; tutto questo porterà un effetto a cascata con delle esternalità impensabili con qualsiasi corso di “educazione civica”. Sempre in riferimento agli effetti a cascata è anche immaginabile che i ragazzi più grandi, quelli finora meno interessati alla politica, inizieranno a nutrire un po’ di sana invidia nei confronti dei più piccoli che decidono di votare. E forse anche i cittadini più anziani e disillusi entreranno in una competizione virtuosa con i ragazzi più giovani.
Se riusciremo a far scoccare questa scintilla, potrebbe delinearsi un incendio di partecipazione e crescita democratica per tutta la società.
Perché conviene allo Stato?
Per qualsiasi stato democratico è un valore indiscutibile che i ragazzi vengano responsabilizzati alla democrazia fin da subito. Un esempio di quanto un intervento precoce contribuisca all’inclusione futura dei giovani proviene paradossalmente dalle dittature: negli stati autoritari infatti il coinvolgimento delle giovani generazioni diventa uno degli asset fondamentali per creare il consenso; non solo: i giovani incardinati nel sistema diventano la spina dorsale delle dittature, ma portano alle dittature stesse quel poco che resta del pensiero libero e non irregimentato che spesso ne determina la sopravvivenza malgrado tutto e malgrado tutti.
Per chi fosse preoccupato di eventuali sconvolgimenti nel panorama politico, torna utile ricordare che a causa dell’invecchiamento della popolazione europea, l’impatto dei voti dei minorenni non sarà certo determinante per stabilire gli equilibri politici: la piramide demografica è infatti estremamente sbilanciata verso l’alto: se anche votassero tutti i nuovi elettori in grado di votare, questi sarebbero considerevolmente inferiori al 15% della popolazione compessiva.
Naturalmente i ragazzi diventeranno un target per tutti quei politici che cercheranno di raggiungere attraverso tutti i canali multimediali orientati alle giovani generazioni, ma trattandosi di argomenti che riguardano tutti quanti, i ragazzi si confronteranno anche con gli adulti e quindi non rimarranno soli di fronte ai social, come avviene invece con le questioni che rimangono dentro al perimetro giovanile (videogiochi, makeup artist, pixel art, musica, etc).
Sarà questa forse l’occasione per portare nell’agenda politica generalista le tematiche che interessano le giovani generazioni, le tematiche che il mondo avrebbe ignorato se una sedicenne svedese fuori dal comune non avesse scosso il pubblico mondiale giocando la partita della vita.
Perché conviene ai genitori?
I genitori parlano poco di politica con i propri figli e spesso ne parlano in maniera del tutto inutile alla maturazione e all’esercizio delle future scelte. Il fatto che i propri figli votino, diviene quindi un importante leva per responsabilizzare prima di tutto i genitori.
I genitori sarebbero costretti a introdurre i bambini alla politica in un’età in cui possono ancora essere ascoltati e non quando, durante l’adolescenza, i figli sono sempre meno disposti ad ascoltare i genitori (e non solo mentre parlano di politica).
Tutti gli adulti poi, e non solo quelli con figli minorenni, si sentiranno in dovere di dare l’esempio ai ragazzi e la politica potrebbe addirittura divenire un argomento di conversazione intergenerazionale.
Diritto di voto. Per tutti!
Speriamo di avere contribuito a far capire che per coinvolgere i ragazzi delle scuole sulle questioni politiche di loro interesse, l’unica soluzione possibile debba essere estrema, coraggiosa e radicale: proporre l’estensione del diritto di voto a tutti i minorenni, senza alcuna distinzione di età ma vincolandola solo in base alla frequenza della scuola dell’obbligo o alla capacità di saper leggere e scrivere.
Questa idea oggi ci sembra forse assurda, ingiusta e irrealizzabile a causa di un condizionamento culturale, ma come abbiamo provato a dimostrare ci sono diversi motivi per ritenerla giusta e necessaria.
Peraltro, ci si lamenta da sempre che “i ragazzi di oggi” (quelli di ogni “oggi” dacché se ne ha memoria…) non si mobilitano mai abbastanza: ecco che coinvolgerli nelle decisioni politiche potrebbe finalmente far unire il vigore e la passione giovanile con un obiettivo squisitamente politico. Invece, tenendoli lontani dalla politica si potrà solo ottenere il risultato di far si’ che i ragazzi stessi diventino un problema politico: non solo un freno all’innovazione in politica, ma una inconcepibile sottrazione di intelligenza e fantasia al dibattito pubblico.
Siamo certi che una campagna per chiedere l’estensione del diritto di voto ai ragazzi, avrebbe il vantaggio di incuriosirli fin da subito; forse entrerebbero subito in un virtuoso conflitto dialettico con i loro genitori che (ci aspettiamo) saranno tendenzialmente contrari a questa campagna…
Una volta che la politica avrà attirato l’attenzione dei ragazzi come soggetto politico, ecco che auspicabilmente il loro coinvolgimento nelle questioni che li riguardano diventerà più facile! Pertanto…
P. Cook, Against a minimum voting age, Critical Review of International Social and Political Philosophy, vol. 16(3), 2013
Il Prof. David Runciman, docente di Scienze politiche presso l’Università di Cambridge, abbasserebbe a 6 anni l’età per votare (un podcast e un articolo)
Uno spunto di riflessione di Giampaolo Bottoni, che condividiamo nella sostanza anche se non nella forma
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Questa non è una campagna di sensibilizzazione. Non ancora. Ma potrebbe diventarla.
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Tuttavia, quella che risulta apparentemente come un esercizio di rappresentanza sovradimensionato si scontra con alcuni limiti nella partecipazione; le elezioni vedono quasi generalmente una diminuzione dell’eletorato in tutti gli appuntamenti elettorali per cause molto diverse: il disgusto per la classe politica, la sensazione che le scelte elettorali non incidano realmente sulla direzione politica, il privilegio dell’Economia e della Finanza sulla politica e, infine, la scarsa istruzione dei cittadini riguardo ai meccanismi istituzionali che regolano la democrazia e la rappresentanza.
L’eccezionale rinnovamento in termini di rigenerazione dell’entusiasmo e della partecipazione attiva del nuovo movimento ambientalista, come testimoniano i casi di Fridays for Future, Extintion Rebellion e Ultima Generazione, ha dimostrato quanto una giovane donna (che -ricordiamo- per motivi di età non era neanche in grado di esercitare il proprio diritto di voto) possa essere in grado di scatenare il coinvolgimento e la partecipazione dell’opinione pubblica sui temi ambientali, come nessun “adulto” era mai riuscito a portare avanti con convinzione, neanche quando vestiva i panni dell’ex vicepresidente degli USA Al Gore (forse anche perché la sua crociata era inizialmente nata più per aiutare i contadini produttori di mais del suo Stato natale -il Tennessee- piuttosto che per garantire il futuro dell’umanità…).
Il coinvolgimento dei cittadini deve essere coltivato
Se la maggior parte degli elettori adulti è dunque disillusa, non possiamo credere che, continuando a fare le cose nello stesso modo, potremmo invertire la tendenza e ottenere risultati differenti.
Ogni iniziativa di educazione civica è infatti sterile: chi avrebbe mai interesse a guidare una macchina se non può ancora guidarla?
La realtà è che se i futuri elettori vengono tenuti al di fuori non solo dai processi elettorali, ma anche dalla discussione politica, essi continueranno probabilmente a disinteressarsene anche quando otterranno il diritto di esercitare il voto. E se se ne interesseranno, sconteranno un ritardo culturale che sarà sostanzialmente pari agli anni di attesa, quelli in cui essi sono stati tenuti fuori dai processi decisionali.
Una precisazione: perché siamo contrari ad abbassare a 16 anni l’età per votare?
La proposta avanzata, a suo tempo da Enrico Letta, per abbassare in Italia l’età per esercitare il diritto di voto non avrebbe alcun impatto rilevante e presenta anzi problematiche superiori rispetto a quelle provocate dall’attuale limite di età: si guadagnano solo due anni di ritardo ma non si colpiscono le ragioni profonde del disinteresse dei ragazzi verso la politica. Se il diritto di voto è un merito e una responsabilità, non si capisce infatti per quale motivo i sedicenni sarebbero più meritevoli e più responsabili dei quindicenni: per il fatto forse di avere concluso la scuola dell’obbligo? Anzi, in buona parte degli ordinamenti scolastici, l’insegnamento della storia e della geografia nei primi due/tre anni della scuola superiore è assolutamente paragonabile rispetto a quello di uno studente che abbia concluso la secondaria di primo grado, soprattutto ai fini della consapevolezza del mondo contemporaneo!
La nostra assurda (cit.) proposta
La nostra proposta è semplice: estendere il diritto di voto a ogni cittadino che, così come è in grado di entrare da solo in un edificio scolastico, sia in grado di entrare da solo in una cabina elettorale per tracciare una croce e scrivere un paio di nomi in stampatello!
Vediamo perché questa scelta sarebbe conveniente e, soprattutto, giusta.
Perché bambini e ragazzi meritano di votare?
Il diritto di voto, il diritto di rappresentanza, è sempre stato connesso alla capacità fiscale del contribuente: “Nessuna tassazione senza rappresentanza” nasce come slogan politico che ha avuto origine nella Rivoluzione americana e che ha espresso una delle principali lam entele dei coloni americani contro la Gran Bretagna, ma è anche uno dei fondamenti della partecipazione della cittadinanza “produttiva”, quella che mantiene l’apparato statale.
Il principio è oggi apparentemente superato, dal momento che il diritto di voto viene considerato un diritto civile inalienabile a prescindere dalla capacità contributiva del cittadino, eppure il principio è ancora valido, nel senso che in ottica solidaristica il contributo operoso del cittadino è fondamentale per il funzionamento delle istituzioni, in quanto attraverso la tassazione progressiva, consente a tutti le garanzie di libertà e partecipazione che spettano a tutti i cittadini. Spettano, per la precisione, a tutti i cittadini maggiorenni.
Se tuttavia consideriamo alcune evidenze dello status di bambini e ragazzi, dovremmo riconsiderare il principio “No taxation without representation” in un’ottica differente:
Sinite parvulos: perché conviene ai bambini e ai ragazzi?
Poter assumere la responsabilità di decidere nella stessa misura in cui possono decidere gli adulti è un incentivo a interessarsi delle istituzioni! Per quale motivo infatti un ragazzo dovrebbe interessarsi delle istituzioni se viene escluso dal perimetro decisionale?
Il peso di tale responsabilità costituirà uno stimolo a comprendere le istituzioni, le leggi, i meccanismi della rappresentanza e non solo: sarà anche uno stimolo a comprendere e a confrontarsi, ben prima dell’età adulta, con le sempre più subdole manipolazioni che la comunicazione politica (e non politica) esercita sulla società.
Sembra scontato, ma esercitando l’elettorato attivo fin da bambini, i ragazzi arriverebbero la maggiore età con maggiori possibilità di esercitare l’elettorato passivo.
Inoltre il fatto che alcuni amici e compagni più motivati facciano “cose da grandi” sarà uno stimolo anche per i coetanei meno sensibili alla democrazia; tutto questo porterà un effetto a cascata con delle esternalità impensabili con qualsiasi corso di “educazione civica”. Sempre in riferimento agli effetti a cascata è anche immaginabile che i ragazzi più grandi, quelli finora meno interessati alla politica, inizieranno a nutrire un po’ di sana invidia nei confronti dei più piccoli che decidono di votare. E forse anche i cittadini più anziani e disillusi entreranno in una competizione virtuosa con i ragazzi più giovani.
Se riusciremo a far scoccare questa scintilla, potrebbe delinearsi un incendio di partecipazione e crescita democratica per tutta la società.
Perché conviene allo Stato?
Per qualsiasi stato democratico è un valore indiscutibile che i ragazzi vengano responsabilizzati alla democrazia fin da subito. Un esempio di quanto un intervento precoce contribuisca all’inclusione futura dei giovani proviene paradossalmente dalle dittature: negli stati autoritari infatti il coinvolgimento delle giovani generazioni diventa uno degli asset fondamentali per creare il consenso; non solo: i giovani incardinati nel sistema diventano la spina dorsale delle dittature, ma portano alle dittature stesse quel poco che resta del pensiero libero e non irregimentato che spesso ne determina la sopravvivenza malgrado tutto e malgrado tutti.
Per chi fosse preoccupato di eventuali sconvolgimenti nel panorama politico, torna utile ricordare che a causa dell’invecchiamento della popolazione europea, l’impatto dei voti dei minorenni non sarà certo determinante per stabilire gli equilibri politici: la piramide demografica è infatti estremamente sbilanciata verso l’alto: se anche votassero tutti i nuovi elettori in grado di votare, questi sarebbero considerevolmente inferiori al 15% della popolazione compessiva.
Naturalmente i ragazzi diventeranno un target per tutti quei politici che cercheranno di raggiungere attraverso tutti i canali multimediali orientati alle giovani generazioni, ma trattandosi di argomenti che riguardano tutti quanti, i ragazzi si confronteranno anche con gli adulti e quindi non rimarranno soli di fronte ai social, come avviene invece con le questioni che rimangono dentro al perimetro giovanile (videogiochi, makeup artist, pixel art, musica, etc).
Sarà questa forse l’occasione per portare nell’agenda politica generalista le tematiche che interessano le giovani generazioni, le tematiche che il mondo avrebbe ignorato se una sedicenne svedese fuori dal comune non avesse scosso il pubblico mondiale giocando la partita della vita.
Perché conviene ai genitori?
I genitori parlano poco di politica con i propri figli e spesso ne parlano in maniera del tutto inutile alla maturazione e all’esercizio delle future scelte. Il fatto che i propri figli votino, diviene quindi un importante leva per responsabilizzare prima di tutto i genitori.
I genitori sarebbero costretti a introdurre i bambini alla politica in un’età in cui possono ancora essere ascoltati e non quando, durante l’adolescenza, i figli sono sempre meno disposti ad ascoltare i genitori (e non solo mentre parlano di politica).
Tutti gli adulti poi, e non solo quelli con figli minorenni, si sentiranno in dovere di dare l’esempio ai ragazzi e la politica potrebbe addirittura divenire un argomento di conversazione intergenerazionale.
Diritto di voto. Per tutti!
Speriamo di avere contribuito a far capire che per coinvolgere i ragazzi delle scuole sulle questioni politiche di loro interesse, l’unica soluzione possibile debba essere estrema, coraggiosa e radicale: proporre l’estensione del diritto di voto a tutti i minorenni, senza alcuna distinzione di età ma vincolandola solo in base alla frequenza della scuola dell’obbligo o alla capacità di saper leggere e scrivere.
Questa idea oggi ci sembra forse assurda, ingiusta e irrealizzabile a causa di un condizionamento culturale, ma come abbiamo provato a dimostrare ci sono diversi motivi per ritenerla giusta e necessaria.
Peraltro, ci si lamenta da sempre che “i ragazzi di oggi” (quelli di ogni “oggi” dacché se ne ha memoria…) non si mobilitano mai abbastanza: ecco che coinvolgerli nelle decisioni politiche potrebbe finalmente far unire il vigore e la passione giovanile con un obiettivo squisitamente politico. Invece, tenendoli lontani dalla politica si potrà solo ottenere il risultato di far si’ che i ragazzi stessi diventino un problema politico: non solo un freno all’innovazione in politica, ma una inconcepibile sottrazione di intelligenza e fantasia al dibattito pubblico.
Siamo certi che una campagna per chiedere l’estensione del diritto di voto ai ragazzi, avrebbe il vantaggio di incuriosirli fin da subito; forse entrerebbero subito in un virtuoso conflitto dialettico con i loro genitori che (ci aspettiamo) saranno tendenzialmente contrari a questa campagna…
Una volta che la politica avrà attirato l’attenzione dei ragazzi come soggetto politico, ecco che auspicabilmente il loro coinvolgimento nelle questioni che li riguardano diventerà più facile! Pertanto…
Sinite parvulos!
Una non-bibliografia poco meno che essenziale:
La tesi di laurea di Olga Erenc dedicata all’argomento
S. Lecce, Should democracy grow up? Children and voting rights, Intergenerational Justice Review 9 (4), 2009
J. Rutherford, One child, one vote: Proxies for parents, Minnesota Law Review 82, 1998
P. Cook, Against a minimum voting age, Critical Review of International Social and Political Philosophy, vol. 16(3), 2013
Il Prof. David Runciman, docente di Scienze politiche presso l’Università di Cambridge, abbasserebbe a 6 anni l’età per votare (un podcast e un articolo)
Se i minori potessero votare, di LANE WALLACE su The Atlantic
Uno spunto di riflessione di Giampaolo Bottoni, che condividiamo nella sostanza anche se non nella forma
Bibliografia dalla tesi di laura già citata di Olga Erenc: