Un aspetto che non viene mai affrontato dalla politica italiana o che quando viene affrontato, fa emergere tutta l’approssimazione dei politici nostrani (focalizzati al massimo sull’argomento del giorno o sulla narrazione scandalistica) è quello dei diritti digitali e i candidati alle primarie romane dell’area che fa riferimento al Partito Democratico non sembrano differenziarsi così tanto dal resto della classe politica.
Ma, per tornare alle primarie del PD, abbiamo quindi sette candidati in tutto, tra cui il candidato ufficiale del Pd Roberto Gualtieri, ex Ministro dell’Economia nel Conte bis (e da poco eletto deputato alle suppletive romane), il presidente del III Municipio Giovanni Caudo, urbanista e professore alla Facoltà di Architetura, l’attivista per i diritti LGBT Imma Battaglia, la ex Cinque Stelle Cristina Grancio, il responsabile del Programma sulle Global Cities dell’ISPI Tobia Zevi, il Consigliere Regionale Lazio e Vicepresidente della Commissione Sanità Affari Sociali, Welfare Paolo Ciani e infine il bocconiano Stefano Fassina, già viceministro della Repubblica nel governo Letta nonché ex consulente del Fondo Monetario Intrenazionale.
Apprezziamo comunque il riferimento (alquanto generico ma comunque interessante) che Giovanni Caudo ha voluto fare alla questione dei diritti digitali e ad alcuni tentativi di coinvolgere personalità attive nelle questioni digitali, come Teresa Numerico.
Purtroppo non è chiaro quale sia la posizione specifica dei sette aspiranti candidati a sindaco sui problemi più importanti che riguardano la gestione della città.
Le sette domande ai sette candidati su sette questioni digitali
Ci piacerebbe perciò fare alcune domande ai candidati per capire come intendono comportarsi nel caso in cui venissero investiti dal popolo delle primarie
Bando della videosorveglianza e del riconoscimento biometrico
L’iniziativa dei cittadini europei ReclaimYourFace ha posto all’attenzione del pubblico europeo quelli che sono i pericoli di un sistema di sorveglianza capillare, basato sulle riprese video, la loro elaborazione automatica e l’incrocio con i database della polizia. La videosorveglianza, spesso proposta per rispondere alla falsa percezione di insicurezza dei cittadini, costituisce un problema globale, soprattutto nel tessuto cittadino.
Anche alcune iniziative come il famigerato street control, che potrebbero costituire uno strumento interessante per combattere la sosta selvaggia, rischiano di diventare uno strumento di sorveglianza globale qualora venissero utilizzate per scopi diversi dal semplice riscontro di violazioni al codice della strada.
Utilizzo gli strumenti informatici Open Source
La giunta Raggi ha incaricato Flavia Marzano per accelerare, ove possibile, l’adozione di software open source negli uffici comunali adempiendo alla normativa vigente che impone l’adozione di soluzione open source salvo i casi in cui, previa valutazione comparativa, ciò non sia possibile o non sia vantaggioso per la pubblica amministrazione; purtroppo quell’esperimento, che stava procedendo piuttosto bene, si è interrotto bruscamente a causa di un repentino cambio di indirizzo della stessa giunta.
Conciliare la Smart city con la protezione dei dati personali
Oggi è possibile governare una città, ottimizzarne la gestione dei servizi e predisporre strumenti predittivi, atraverso un utilizzo spinto dei Big Data. Purtroppo c’è la necessità di mitigare l’impatto che questi strumenti possono avere sul diritto alla privacy dei cittadini e dei visitatori.
Open data
L’idea che alcuni dati dovrebbero essere liberamente disponibili a tutti per utilizzarli e ripubblicarli come desiderano, senza restrizioni da diritti d’autore, brevetti o altri meccanismi di controllo, sta prendendo piede sempre di più grazie all’instancabile attività di associazioni che riuniscono cittadini e tecnici sensibili alla questione.
Trasparenza su concessioni, bandi e concorsi
Troppo spesso, si intende la trasparenza come l’esposizione al pubblico della maggiore quantità di informazioni: è quello che succede spesso nelle nostra Pubblica Amministrazione: albi pretori ricchissimi di informazioni che, proprio a causa del loro numero, risultano di difficile consultazione; numerosissimi video delle sedute in streaming senza la pubblicazione di alcuna verbalizzazione che ne consenta una facile indicizzazione o ricerca; pubblicazione dei patrimoni dei dirigenti ma senza alcuna visibilità sulle attività di lobbing svolte presso l’amministrazione.
La trasparenza dovrebbe invece garantire l’efficacia e la chiarezza delle informazioni.
Attraverso la pubblicità dell’informazione, infatti si può solo ottenere la grezza conoscibilità; diversamente, la trasparenza non dovrebbe essere solo conoscibile ma soprattutto comprensibile.
Whistleblowing
Il whistleblower (segnalatore) è di solito un dipendente, che espone informazioni o attività all’interno di un’organizzazione privata, pubblica o governativa ritenuta illegale, illecita, non sicura o uno spreco, una frode o un abuso dei fondi dei contribuenti. Talvolta il whistleblower può essere anche il semplice cittadino, qualora sia venuto a conoscenza di informazioni o dati verificati che attestino condotte irregolari o illecite.
La principale tutela per chi segnala è l’anonimato.
Al contrario, l’iniziativa “Io segnalo”, nata sotto la giunta Marino per consentire ai cittadini di segnalare situazioni di illegalità (soprattutto quelle relative alla sosta selvaggia), non solo non garantiva l’anonimato ma costringeva il segnalatore a comunicare obbligatoriamente tutti i propri dati personali: una completa follia! In una città con una forte componente di criminalità organizzata e corruzione, questo significava ignorare totalmente i principi della disciplina del whistleblowing ed esporre i cittadini a pericolosissime ritorsioni.
Partecipazione digitale
La partecipazione digitale viene sempre più realizzata nelle grandi comunità attraverso strumenti digitali per la consultazione pubblica. naturalmente il pubblico degli iscritti a queste piattaforme non ha potere decisionale ma ha il desiderio di incidere sulle scelte dell’amministrazione anche attraverso il dialogo.
Affinché tale dialogo sia non solo uno sfogatoio delle proprie esigenze di praticare un televoto consultivo, il cittadino però non dovrà solo “conoscere” i provvedimenti da discutere, ma dovrebbe “comprendere” il modo e il motivo per cui l’amministrazione vuole giungere a quelle delibere. Il punto davvero qualificante sarebbe condividere con i cittadini i moderni e ben sperimentati principi dell’analisi di impatto della regolazione: deliberare prefigurando gli impatti dei regolamenti che si producono, valutandone puntualmente gli effetti e assumendosene la responsabilità dei risultati.
Qualcuno risponderà?
Siamo piuttosto pessimisti sulla reattività dei sette candidati, anche considerando che la maggior parte di loro non ha neanche presentato un vero e proprio programma, ma (comprensibilmente, trattandosi di primarie) ha soprattutto cercato di evidenziare le differenze dalla linea politica di quello che è il candidato investito dal Partito Democratico.
Tuttavia queste domande diventeranno un modello che vorremmo sottoporre a tutti i candidati sindaci delle prossime tornate elettorali.
Un aspetto che non viene mai affrontato dalla politica italiana o che quando viene affrontato, fa emergere tutta l’approssimazione dei politici nostrani (focalizzati al massimo sull’argomento del giorno o sulla narrazione scandalistica) è quello dei diritti digitali e i candidati alle primarie romane dell’area che fa riferimento al Partito Democratico non sembrano differenziarsi così tanto dal resto della classe politica.
Riteniamo invece urgente una forte presa di posizioni della classe politica a proposito delle questioni digitali, soprattutto dopo le desolanti esternazioni che Carlo Calenda ha rilasciato a proposito delle norme sulla Privacy.
Ma, per tornare alle primarie del PD, abbiamo quindi sette candidati in tutto, tra cui il candidato ufficiale del Pd Roberto Gualtieri, ex Ministro dell’Economia nel Conte bis (e da poco eletto deputato alle suppletive romane), il presidente del III Municipio Giovanni Caudo, urbanista e professore alla Facoltà di Architetura, l’attivista per i diritti LGBT Imma Battaglia, la ex Cinque Stelle Cristina Grancio, il responsabile del Programma sulle Global Cities dell’ISPI Tobia Zevi, il Consigliere Regionale Lazio e Vicepresidente della Commissione Sanità Affari Sociali, Welfare Paolo Ciani e infine il bocconiano Stefano Fassina, già viceministro della Repubblica nel governo Letta nonché ex consulente del Fondo Monetario Intrenazionale.
Apprezziamo comunque il riferimento (alquanto generico ma comunque interessante) che Giovanni Caudo ha voluto fare alla questione dei diritti digitali e ad alcuni tentativi di coinvolgere personalità attive nelle questioni digitali, come Teresa Numerico.
Purtroppo non è chiaro quale sia la posizione specifica dei sette aspiranti candidati a sindaco sui problemi più importanti che riguardano la gestione della città.
Le sette domande ai sette candidati su sette questioni digitali
Ci piacerebbe perciò fare alcune domande ai candidati per capire come intendono comportarsi nel caso in cui venissero investiti dal popolo delle primarie
Bando della videosorveglianza e del riconoscimento biometrico
L’iniziativa dei cittadini europei ReclaimYourFace ha posto all’attenzione del pubblico europeo quelli che sono i pericoli di un sistema di sorveglianza capillare, basato sulle riprese video, la loro elaborazione automatica e l’incrocio con i database della polizia. La videosorveglianza, spesso proposta per rispondere alla falsa percezione di insicurezza dei cittadini, costituisce un problema globale, soprattutto nel tessuto cittadino.
Anche alcune iniziative come il famigerato street control, che potrebbero costituire uno strumento interessante per combattere la sosta selvaggia, rischiano di diventare uno strumento di sorveglianza globale qualora venissero utilizzate per scopi diversi dal semplice riscontro di violazioni al codice della strada.
Utilizzo gli strumenti informatici Open Source
La giunta Raggi ha incaricato Flavia Marzano per accelerare, ove possibile, l’adozione di software open source negli uffici comunali adempiendo alla normativa vigente che impone l’adozione di soluzione open source salvo i casi in cui, previa valutazione comparativa, ciò non sia possibile o non sia vantaggioso per la pubblica amministrazione; purtroppo quell’esperimento, che stava procedendo piuttosto bene, si è interrotto bruscamente a causa di un repentino cambio di indirizzo della stessa giunta.
Conciliare la Smart city con la protezione dei dati personali
Oggi è possibile governare una città, ottimizzarne la gestione dei servizi e predisporre strumenti predittivi, atraverso un utilizzo spinto dei Big Data. Purtroppo c’è la necessità di mitigare l’impatto che questi strumenti possono avere sul diritto alla privacy dei cittadini e dei visitatori.
Open data
L’idea che alcuni dati dovrebbero essere liberamente disponibili a tutti per utilizzarli e ripubblicarli come desiderano, senza restrizioni da diritti d’autore, brevetti o altri meccanismi di controllo, sta prendendo piede sempre di più grazie all’instancabile attività di associazioni che riuniscono cittadini e tecnici sensibili alla questione.
Trasparenza su concessioni, bandi e concorsi
Troppo spesso, si intende la trasparenza come l’esposizione al pubblico della maggiore quantità di informazioni: è quello che succede spesso nelle nostra Pubblica Amministrazione: albi pretori ricchissimi di informazioni che, proprio a causa del loro numero, risultano di difficile consultazione; numerosissimi video delle sedute in streaming senza la pubblicazione di alcuna verbalizzazione che ne consenta una facile indicizzazione o ricerca; pubblicazione dei patrimoni dei dirigenti ma senza alcuna visibilità sulle attività di lobbing svolte presso l’amministrazione.
La trasparenza dovrebbe invece garantire l’efficacia e la chiarezza delle informazioni.
Attraverso la pubblicità dell’informazione, infatti si può solo ottenere la grezza conoscibilità; diversamente, la trasparenza non dovrebbe essere solo conoscibile ma soprattutto comprensibile.
Whistleblowing
Il whistleblower (segnalatore) è di solito un dipendente, che espone informazioni o attività all’interno di un’organizzazione privata, pubblica o governativa ritenuta illegale, illecita, non sicura o uno spreco, una frode o un abuso dei fondi dei contribuenti. Talvolta il whistleblower può essere anche il semplice cittadino, qualora sia venuto a conoscenza di informazioni o dati verificati che attestino condotte irregolari o illecite.
La principale tutela per chi segnala è l’anonimato.
Al contrario, l’iniziativa “Io segnalo”, nata sotto la giunta Marino per consentire ai cittadini di segnalare situazioni di illegalità (soprattutto quelle relative alla sosta selvaggia), non solo non garantiva l’anonimato ma costringeva il segnalatore a comunicare obbligatoriamente tutti i propri dati personali: una completa follia! In una città con una forte componente di criminalità organizzata e corruzione, questo significava ignorare totalmente i principi della disciplina del whistleblowing ed esporre i cittadini a pericolosissime ritorsioni.
Partecipazione digitale
La partecipazione digitale viene sempre più realizzata nelle grandi comunità attraverso strumenti digitali per la consultazione pubblica. naturalmente il pubblico degli iscritti a queste piattaforme non ha potere decisionale ma ha il desiderio di incidere sulle scelte dell’amministrazione anche attraverso il dialogo.
Affinché tale dialogo sia non solo uno sfogatoio delle proprie esigenze di praticare un televoto consultivo, il cittadino però non dovrà solo “conoscere” i provvedimenti da discutere, ma dovrebbe “comprendere” il modo e il motivo per cui l’amministrazione vuole giungere a quelle delibere. Il punto davvero qualificante sarebbe condividere con i cittadini i moderni e ben sperimentati principi dell’analisi di impatto della regolazione: deliberare prefigurando gli impatti dei regolamenti che si producono, valutandone puntualmente gli effetti e assumendosene la responsabilità dei risultati.
Qualcuno risponderà?
Siamo piuttosto pessimisti sulla reattività dei sette candidati, anche considerando che la maggior parte di loro non ha neanche presentato un vero e proprio programma, ma (comprensibilmente, trattandosi di primarie) ha soprattutto cercato di evidenziare le differenze dalla linea politica di quello che è il candidato investito dal Partito Democratico.
Tuttavia queste domande diventeranno un modello che vorremmo sottoporre a tutti i candidati sindaci delle prossime tornate elettorali.