Il 3 luglio 1971, esattamente cinquant’anni fa, il cantante dei Doors, Jim Morrison muore a Parigi per cause non ancora chiare dando origine a una serie infinita di teorie alternative e inaugurando una controinformazione, talvolta a dir poco eccentrica, dedicata a tutti quegli artisti morti in circostanze misteriose.
Quello stesso giorno a Townsville nasce Julian Assange, colui che è riuscito a far capire a un numero mai così elevato di persone qual è quella cosa che distingue la controinformazione autentica da quella fantasiosa: l’accesso alle fonti e la loro valutazione critica.
Julian Assange è una pietra miliare dell’editoria e dell’informazione moderna, è l’hacker-editore che ha praticato l’uso sistematico del whistleblowing per arricchire il mondo dell’informazione, un mondo che pur rivendicando la propria libertà e riconoscendo di vivere e operare in un Mondo Libero (il cosiddetto Occidente), sembra ormai non più intenzionato ad affondare la lama delle inchieste quando queste rischiano di indebolire la narrazione che contrappone il Mondo Libero a quei Paesi nei quali, per tutta una serie di motivi, la libertà di informazione non viene affatto garantita ma anzi viene spesso ostacolata e condannata.
La libertà supposta è quella libertà prodotta in serie con lo stampo, dichiarata pubblicamente e somministrata ai membri di una comunità. Solitamente non la si assume né per bocca né per orecchio, ma attraverso orifizi che non ne consentano di percepire il gusto o il suono.
Insomma, Julian Assange non è il tipo da far entrare in una cucina sporca quando organizzi una cena importante, se non vuoi che dica a tutti i commensali che ha visto i topi leccare le vivande sui piatti di portata.
Julian Assange è un hacker
Assange è un “pirata”, è un hacker.
È un hacker non soltanto per la sua formazione informatica, non solo perché utilizza le proprie competenze per individuare tutte le potenzialità che scaturiscono dai difetti di progettazione di un sistema informatico; Assange è un hacker perché ha hackerato l’informazione conformista!
Oggi chi ha organizzato la cena pur avendo la cucina sporca, è riuscito a vendicarsi e, quel che più colpisce, è riuscito a fare in modo che i commensali se la prendessero quasi tutti con lui invece che prendersela con le scadenti misure igieniche del padrone di casa.
Assange è diventato uno di quei perseguitati a causa della giustizia, quelli che secondo Qualcuno otterranno nella loro beatitudine il regno dei cieli.
Tuttavia, nel nostro mondo molto poco Beato, quello che gli è stato riservato è una cella in un carcere di massima sicurezza e un accanimento persecutorio che lo ha minato nel fisico e nella mente da una decina di anni.
La figura di Julian Assange è considerata controversa, a causa della ipermetrope capacità della pubblica opinione (manipolata con successo dai mezzi di informazione) di individuare le più assurde nanopagliuzze negli occhi di chi quegli occhi ha avuto l’unica colpa di tenerli aperti, così da raccontare quello che nessuno voleva vedere o che semplicemente nessuno poteva vedere: documenti mantenuti classificati e segreti con la scusa di salvaguardare l’interesse nazionale, quell’interesse nazionale che in realtà sì realizza soltanto quando il pubblico dispone del maggior numero e della maggiore qualità di informazioni!
Se Assange fosse morto 10 anni fa…
Insomma, se Julian Assange fosse morto nel 2010 in circostanze misteriose, come Jim Morrison, oggi internet continuerebbe a parlare di lui, del suo ruolo storicamente decisivo nello sviluppo dell’informazione moderna, della sua stessa morte, e lo farebbe con toni eroici probabilmente condivisi dal pubblico, dai giornalisti e dalle istituzioni tutte. Gli si intitolerbbero parchi, piazze e strade, premi e scuole di giornalismo, biblioteche e scuole elementari!
Ma per sua e per nostra fortuna Julian Assange è ancora vivo e oggi compie il suo cinquantesimo compleanno in circostanze ben diverse da quelle che qualunque cittadino del cosiddetto Occidente avrebbe potuto mai immaginare per una persona, una qualsiasi persona, che ha fatto solo ciò che riteneva giusto è che l’ha fatto nell’interesse di tutta la società.
L’unico modo di tenerlo in vita è parlarne. L’unico modo di tenerlo in vita è chiedere a tutte le istituzioni del mondo di liberarlo immediatamente e soprattutto di evitarne l’estradizione in un paese, gli Stati Uniti d’America, che ha già mostrato di violare sistematicamente i diritti umani di chiunque venisse anche solo sospettato di essere un terrorista.
Chiedere la libertà di Julian Assange è combattere una battaglia di civiltà e non solo: chiunque non chieda la libertà di Assange è un complice dell’ipocrisia, un complice di quel machiavellismo da accatto che chi guida le istituzioni rivendica in base a una discutibile interpretazione dell’interesse nazionale.
Julian Assange è uno shibboleth: chi non riesce a pronunciare il suo nome in pubblico è un nemico dell’informazione, un nemico della verità e un nemico della società aperta.
Il 3 luglio 1971, esattamente cinquant’anni fa, il cantante dei Doors, Jim Morrison muore a Parigi per cause non ancora chiare dando origine a una serie infinita di teorie alternative e inaugurando una controinformazione, talvolta a dir poco eccentrica, dedicata a tutti quegli artisti morti in circostanze misteriose.
Quello stesso giorno a Townsville nasce Julian Assange, colui che è riuscito a far capire a un numero mai così elevato di persone qual è quella cosa che distingue la controinformazione autentica da quella fantasiosa: l’accesso alle fonti e la loro valutazione critica.
Julian Assange è una pietra miliare dell’editoria e dell’informazione moderna, è l’hacker-editore che ha praticato l’uso sistematico del whistleblowing per arricchire il mondo dell’informazione, un mondo che pur rivendicando la propria libertà e riconoscendo di vivere e operare in un Mondo Libero (il cosiddetto Occidente), sembra ormai non più intenzionato ad affondare la lama delle inchieste quando queste rischiano di indebolire la narrazione che contrappone il Mondo Libero a quei Paesi nei quali, per tutta una serie di motivi, la libertà di informazione non viene affatto garantita ma anzi viene spesso ostacolata e condannata.
La libertà supposta è quella libertà prodotta in serie con lo stampo, dichiarata pubblicamente e somministrata ai membri di una comunità. Solitamente non la si assume né per bocca né per orecchio, ma attraverso orifizi che non ne consentano di percepire il gusto o il suono.
Julian Assange è un hacker
Assange è un “pirata”, è un hacker.
È un hacker non soltanto per la sua formazione informatica, non solo perché utilizza le proprie competenze per individuare tutte le potenzialità che scaturiscono dai difetti di progettazione di un sistema informatico; Assange è un hacker perché ha hackerato l’informazione conformista!
Oggi chi ha organizzato la cena pur avendo la cucina sporca, è riuscito a vendicarsi e, quel che più colpisce, è riuscito a fare in modo che i commensali se la prendessero quasi tutti con lui invece che prendersela con le scadenti misure igieniche del padrone di casa.
Assange è diventato uno di quei perseguitati a causa della giustizia, quelli che secondo Qualcuno otterranno nella loro beatitudine il regno dei cieli.
Tuttavia, nel nostro mondo molto poco Beato, quello che gli è stato riservato è una cella in un carcere di massima sicurezza e un accanimento persecutorio che lo ha minato nel fisico e nella mente da una decina di anni.
La figura di Julian Assange è considerata controversa, a causa della ipermetrope capacità della pubblica opinione (manipolata con successo dai mezzi di informazione) di individuare le più assurde nanopagliuzze negli occhi di chi quegli occhi ha avuto l’unica colpa di tenerli aperti, così da raccontare quello che nessuno voleva vedere o che semplicemente nessuno poteva vedere: documenti mantenuti classificati e segreti con la scusa di salvaguardare l’interesse nazionale, quell’interesse nazionale che in realtà sì realizza soltanto quando il pubblico dispone del maggior numero e della maggiore qualità di informazioni!
Se Assange fosse morto 10 anni fa…
Insomma, se Julian Assange fosse morto nel 2010 in circostanze misteriose, come Jim Morrison, oggi internet continuerebbe a parlare di lui, del suo ruolo storicamente decisivo nello sviluppo dell’informazione moderna, della sua stessa morte, e lo farebbe con toni eroici probabilmente condivisi dal pubblico, dai giornalisti e dalle istituzioni tutte.
Gli si intitolerbbero parchi, piazze e strade, premi e scuole di giornalismo, biblioteche e scuole elementari!
Ma per sua e per nostra fortuna Julian Assange è ancora vivo e oggi compie il suo cinquantesimo compleanno in circostanze ben diverse da quelle che qualunque cittadino del cosiddetto Occidente avrebbe potuto mai immaginare per una persona, una qualsiasi persona, che ha fatto solo ciò che riteneva giusto è che l’ha fatto nell’interesse di tutta la società.
Chiedere la libertà di Julian Assange è combattere una battaglia di civiltà e non solo: chiunque non chieda la libertà di Assange è un complice dell’ipocrisia, un complice di quel machiavellismo da accatto che chi guida le istituzioni rivendica in base a una discutibile interpretazione dell’interesse nazionale.
Julian Assange è uno shibboleth: chi non riesce a pronunciare il suo nome in pubblico è un nemico dell’informazione, un nemico della verità e un nemico della società aperta.